IL PRETORE Visti gli atti del processo penale n. 517/1994 a carico di Osayie Joy, nata in Ghana il 25 giugno 1973, imputata del delitto di cui all'art. 7-bis, della legge n. 39/1990, nel testo di cui al d.-l. 14 giugno 1993, n. 187, convertito in legge 12 agosto 1993, n. 296; F A T T O Con decreto di citazione del 24 marzo 1994 il pubblico ministero ha tratto a giudizio Osayie Joy, imputata del delitto di cui all'art. 7-bis, della legge n. 39/1990, "perche' non si adoperava per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio, cosi' sottraendosi alla esecuzione del provvedimento di espulsione emesso dal prefetto di Caserta in data 22 maggio 1993", accertato in Marcianise il 15 marzo 1994. All'odierna udienza, verificata la regolarita' della costituzione delle parti ed aperto il dibattimento, il pretore ritiene di dover sollevare, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale del citato art. 7-bis, in relazione agli artt. 24 e 25 della Costituzione. La rilevanza della questione proposta appare, invero, evidente, posto che all'odierna imputata e' contestata esattamente la fattispecie incriminatrice prevista dalla norma impugnata, nella parte in cui sanziona una condotta omissiva, consistita nell'omesso adoperarsi per ottenere dalle competenti autorita' un valido documento di espatrio. Ritiene, inoltre, il giudicante che la questione sia caratterizzata, per le considerazioni che seguono, dalla NON MANIFESTA INFONDATEZZA La norma in esame configura, invero, a carico dello straniero colpito da provvedimento amministrativo di espulsione dal territorio nazionale, un obbligo di attivazione diretto al conseguimento di documento idoneo a consentire l'attuazione concreta della espulsione. Tuttavia, se il fine cui questa condotta positiva imposta dalla legge all'espulso e' chiaramente specificato, altrettanto non puo' ritenersi in relazione al profilo contenutistico dell'obbligo di attivazione, che il legislatore ha ritenuto di esaurire con il ricorso all'espressione "adoperarsi", senza ulteriori indicazioni, ed il cui mancato ricorrere integra la condotta descritta dalla seconda ipotesi della norma impugnata, secondo lo schema strutturale tipico del reato omissivo cd. proprio. In questa prospettiva, il precetto normativo si rivela del tutto carente di specificita', prescrivendo al destinatario una condotta priva di qualsiasi elemento, anche indiretto, utile alla concreta individuazione di cio' che e' necessario porre in essere per ottemperare alla prescrizione legislativa, la quale, peraltro, prescinde del tutto dal conseguimento di un qualsiasi risultato: su tali premesse, l'espressione lessicale utilizzata, in assenza di elementi specificativi di contorno, si caratterizza per una valenza linguistica e concettuale del tutto aspecifica ed inidonea a determinare il comando di legge, risolvendosi nell'imporre allo straniero una semplice attivita', naturalisticamente percepibile, ma non determinata nelle modalita'. Inoltre, nel configurarsi un obbligo di attivazione del soggetto - il quale e' tenuto ad adoperarsi per munirsi del documento di viaggio - non si fornisce ne' esplicitamente, ne' mediante elementi indiretti, indicazione alcuna circa il termine trascorso il quale tale attivita' possa ritenersi non compiuta, realizzandosi cosi' il contrasto con il precetto legale. Ne', evidentemente, la volonta' di legge puo' ritenersi violata con la semplice sorpresa dello straniero sprovvisto del documento, indipendentemente dal decorrere di un periodo di tempo successivo all'invito a munirsene, giungendosi, altrimenti, a dover ritenere integrato l'illecito sulla scorta della semplice indisponibilita', da parte del cittadino extracomunitario, del passaporto, con conseguente trasformazione di un reato di carattere omissivo, che prescinde dal conseguimento del fine cui l'adoperarsi e' diretto, in un delitto di mero stato o condizione. Legittimi, a questo punto, appaiono i dubbi circa la conformita' del precetto in esame ai principi di stretta legalita', tassativita' e determinatezza della norma penale, sanciti dall'art. 25 della Carta fondamentale, in assenza della previsione di un termine temporale e delle modalita' di attivazione, eventualmente specificabili, nel concreto, dal giudice, ma solo in base a parametri normativamente predefiniti. In difetto, l'applicazione della norma censurata postula, inevitabilmente, ad opera del giudice, la vera e propria strutturazione contenutistica del precetto, atto cui, nel nostro ordinamento, il magistrato e' del tutto estraneo. Palesi, inoltre, appaiono le conseguenze in ordine alla possibilita' effettiva di piena esplicazione del diritto alla difesa, sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, posto che l'imputato finirebbe per rispondere del mancato possesso del documento di viaggio, dovendo provare, a sua discolpa, di essersi attivato, con inversione del regime di distribuzione dell'onere probatorio che governa il processo penale. Non si puo', quindi, evitare di domandarsi se sia conforme ai principi fondamentali dell'ordinamento e suscettibile di concreta ed effettiva applicazione una norma incriminatrice che si limiti a sanzionare l'intenzionale inattivita' del soggetto e che presenti una configurazione strutturale in base alla quale l'interprete sia condotto a desumere la sussistenza dell'elemento psicologico del reato dal semplice dato relativo al difetto del documento di viaggio, prescindendo da qualsiasi riferimento di carattere temporale e contenutistico: deve anche, al riguardo, tenersi presente che spesso le autorita' straniere richiedono, per l'emissione del documento di viaggio, tempi non particolarmente ristretti e, soprattutto, la corresponsione di somme di importo a volte problematico per cittadini versanti in condizioni di generale precarieta' di vita.